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DiariOOH di Brand: Indiana Jones e quel set maledetto

Giacca di pelle, fedora in testa e frusta in mano: bastano solo questi tre elementi per richiamare immediatamente ai nostri occhi l’immagine di una delle più grandi icone del Cinema e della cultura popolare, ovvero Indiana Jones.

Il personaggio creato dai registi Steven Spielberg e George Lucas alla fine degli anni ‘70 e interpretato dall’immortale Harrison Ford, è giunto alla sua quinta avventura cinematografica, e approfittando della promozione del film sul nostro circuito DOOH nei centri commerciali di tutta Italia cogliamo l’occasione per raccontarti alcune storie e aneddoti sull’archeologo più amato di tutti i tempi.

Indiana Jones doveva essere come James Bond

Nel 1977, dopo i successi di “Star Wars” e “Incontri ravvicinati del terzo tipo”, a George Lucas e Steven Spielberg le cose andavano talmente bene che i due si presero dei lunghi giorni di vacanza a Maui, casualmente nello stesso periodo.

In quel frangente, Spielberg confessò di voler girare un film alla James Bond, ma Lucas gli sottopose un’idea a suo avviso “decisamente migliore”, ovvero la storia de I predatori dell’Arca perduta

A Spielberg la trama piacque moltissimo, a tal punto da declinare la proposta di Lucas di caratterizzare il protagonista della storia come un personaggio seducente, simile a James Bond, preferendo invece un profilo più dark, rude e tendente all’alcolismo.

Il profilo di Henry Walton “Indiana” Jones era insomma stato definito, insieme alla sua prima avventura: il grande potenziale per la serie di film venne intuito prima di tutti dalla Paramount Pictures, che strinse con Spielberg e Lucas un accordo per cinque film di Indiana Jones.

La svolta dark del secondo capitolo

Il successo del primo film della saga spianò la strada per il sequel, Indiana Jones e il tempio maledetto, che mise in risalto l’aspetto oscuro del protagonista, e che mostrò comunque una trama molto più macabra rispetto al primo episodio.

Gli addetti ai lavori individuarono in queste scelte la volontà di entrambi gli autori di riversare nel film i loro umori personali, durante un periodo personale molto difficile, fatto di separazioni e divorzi. E anche il set sembrava maledetto, proprio come il tempio del titolo.

Tra le varie disavventure avvenute durante le riprese:

  • Harrison Ford dovette fermarsi per quasi due mesi per recuperare da un’ernia del disco spinale, facendo girare diverse scene alla sua controfigura, che per fortuna era molto somigliante;
  • il vestito su misura indossato all’inizio del film da Kate Capshaw, con perline originali degli anni ’20 e ’30, venne masticato da un elefante di scena, che ne strappò tutta la parte posteriore. La costumista salvò la situazione eseguendo alcuni lavori di riparazione di emergenza con ciò che restava delle perline originali;
  • il direttore della fotografia Douglas Slocombe prese la febbre e per due settimane non poté lavorare.

Nonostante ciò, Spielberg concluse le riprese in tempo stando dentro il budget, consegnando al pubblico un film brillante e ricco di suspence.

Immagine generata da A.I. su www.leonardo.ai

L’ultima crociata di Indiana Jones e le dritte di Sean Connery

Otto anni dopo i Predatori dell’Arca perduta, il terzo capitolo della saga, Indiana Jones e l’Ultima Crociata, vide affiancarsi a Harrison Ford il mito del cinema Sean Connery, nel ruolo del padre di Jones. 

In qualche modo quindi, Spielberg ottenne finalmente il suo James Bond sul set (Connery vestì i panni di Bond per 6 lungometraggi, dal 1962 al 1971) ma il contributo forse più grande e meno conosciuto dell’attore scozzese fu quello di aver influenzato la scrittura del film.

Infatti, alcuni suoi suggerimenti sull’utilizzo di battute comiche vennero ripresi dallo sceneggiatore Jeffrey Boam, il quale decise così di focalizzare la trama sul conflitto tra padre e figlio, e creare un parallelo tra la ricerca del Sacro Graal con la ricerca di una riconciliazione familiare, aspetto che fece la fortuna del film.

Il film ottenne il plauso della critica e notevoli risultati al botteghino, chiudendo una trilogia iconica che ha mantenuto lo status di leggenda fino al 2008, quando uscì il quarto film, Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo, un’opera considerata dai critici e fan per lo più come un’operazione nostalgia.

L’espansione globale del marchio

Negli anni, Indiana Jones si è trasformato in un vero e proprio franchise, grazie alle intuizioni di Disney, che acquisendo i diritti sul brand ha sviluppato una imponente strategia globale, diffondendo il suo universo e i suoi personaggi su praticamente tutte le principali piattaforme di intrattenimento.

Così Indiana Jones e le sue avventure hanno continuato a vivere ad esempio anche sul piccolo schermo, con una serie-tv che narra le vicende del protagonista da giovane, andata in onda nei primi anni ‘90.

Oppure attraverso letteratura per ragazzi, romanzi, graphic novel, giochi da tavolo, videogiochi, e anche attrazioni all’interno di parchi divertimento tematici.

L’amore del pubblico verso l’universo Indiana Jones non si è mai spento, a testimonianza del fatto che in queste settimane è uscito al cinema il quinto film della saga, Indiana Jones e il quadrante del destino, la cui promozione è passata anche attraverso il nostro network Digital out-of-home nei principali centri commerciali d’Italia.

Una diffusione capillare da Nord a Sud che ha potuto avvalersi di una notevole esposizione  ai numerosi visitatori degli shopping mall: la pianificazione pubblicitaria ha coinvolto 203 impianti di medio e grande formato situati all’interno di 35 centri commerciali distribuiti in 27 città italiane, registrando oltre 24,2 MLN di impressions in 21 giorni e un tasso di visualizzazioni pari al 42% (oltre 10,1 MLN di visualizzazioni).

La promozione ha potuto inoltre avvalersi dell’utilizzo di sensori smart di ultima generazione Blimp, che impiegando software di intelligenza artificiale, sono capaci di restituire dati accurati sulla profilazione dell’audience, nel pieno rispetto della privacy.

Uno strumento imprescindibile per tutti i brand, che come il nostro amato eroe con fedora e frusta, sono anche loro impegnati nella ricerca del Sacro Graal del marketing, ovvero la quantificazione del ritorno d’investimento in pubblicità.

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